LA LOTTA ALLA MAFIA DEV'ESSERE INNANZITUTTO UN MOVIMENTO CULTURALE CHE ABITUI TUTTI A SENTIRE LA BELLEZZA DEL FRESCO PROFUMO DELLA LIBERTA’ CHE SI OPPONE AL PUZZO DEL COMPROMESSO MORALE, DELL'INDIFFERENZA, DELLA CONTIGUITA' E QUINDI DELLA COMPLICITA.

 

Paolo Borsellino

 


La Mafia ha da sempre cercato di sostituirsi alla giustizia dello Stato, ed è questo atteggiamento, insieme ad altri, a dare notevole appoggio sociale alla Mafia. Essa mette in atto una sorta di “welfare” per avere l’appoggio dei cittadini, mirando a controllare la politica locale, permette di risolvere il problema dell’ordine sociale, tramite un modello organizzativo che viene percepito più importante dello Stato.

Cosa Nostra non utilizza sempre direttamente mezzi violenti per centrare i propri obiettivi: più spesso utilizza il mezzo dell’intimidazione e della minaccia, in modo da creare la percezione della violenza reale che sono in grado di esercitare. Con il pizzo la Mafia controlla l’economia ed il riconoscimento dell’autorità mafiosa su un pezzo di territorio. In pratica il potere di imporre tasse vendendo protezione. Con il pizzo la Mafia si fa Stato. La Mafia mantiene la povertà nei luoghi in cui attecchisce per continuare a tenere sotto scacco i cittadini che diventano sudditi. Il problema fondamentale è il consenso sociale, considerando valori forti: la sicurezza e la necessità del sostentamento economico e non altrettanto importanti i mezzi che la società mette a disposizione per perseguire tali fini, i boss rappresentano le uniche figure istituzionali credibili e degne di rispetto. Lo Stato e le Istituzioni, quasi totalmente assenti nel Meridione, acuiscono questa situazione socialmente esplosiva.

Ecco allora che i diritti, non riconosciuti, si trasformano in favori e lo Stato viene percepito come struttura di potere della quale entrare a far parte per potere meglio gestire quei favori.

La lotta alla Mafia deve dunque passare attraverso un cambiamento culturale che si opponga alla percezione della Mafia come reale, e a tratti più forte, alternativa allo Stato.

 

Nei due eventi: la nostra opposizione alla Mafia è passata attraverso due momenti.

 

La presentazione del libro del Prof. Pantaleone "Servi disobbedienti. Leonardo Sciascia e Michele Pantaleone: vite parallele". Lo studio approfondito di Leonardo Sciascia, dopo la pubblicazione della travagliata esistenza di Michele Pantaleone, mi ha portato ad una naturale conclusione: le storie di due intellettuali amici, nativi di due paesi poco conosciuti dell’entroterra siciliano (Villalba e Racalmuto), che hanno studiato, approfondito e scritto sul fenomeno “mafia”, seppur con generi letterari differenti e con approcci diversi, spesso si sono incontrate, scontrandosi con le idee di un arguto ma velleitario modello dominante. I “servi disobbedienti” sono proprio coloro che conservano salde le proprie convinzioni anche quando gli altri pensano si tratti di ingenuità o velleitarismo e affrontano - anche in solitudine - le battaglie, pur consapevoli che vincere sarà difficile, proprio come gli uomini “dal tenace concetto”, qualità rifilata a fra Diego La Matina in Morte dell’Inquisitore da Leonardo Sciascia.

Il volume è diviso in tre parti.

La prima parte racconta la storia di Villalba e Regalpetra, che hanno avuto in comune lo sfruttamento delle classi meno agiate (contadini, zolfatari, salinari…) vessate e sopraffatte da una classe dominante protetta e poi succube dei gabelloti, custodi delle leggi feudali già abolite nel XIX secolo. Luoghi in cui gli americani, dopo lo sbarco in Sicilia, durante la seconda guerra mondiale, hanno imposto due sindaci mafiosi.

La seconda parte attraversa i momenti salienti della storia della mafia secondo gli scritti di Pantaleone e Sciascia, dagli inizi dell’800 sino al periodo post II guerra mondiale con l’Operazione Husky e le sue conseguenze.

La terza parte riguarda i momenti di “incontro” dal punto vista ideologico, e nella politica e nel sociale, i loro scritti inizialmente quasi osannati e poi criticati e accusati di apologia mafiosa e di essere addirittura menzogneri. Entrambi giornalisti del mitico giornale “L’Ora”, le loro prese di posizione contro il “milazzismo” prima e contro il “compromesso storico” poi hanno acceso polemiche di non poca portata.

 

Nella seconda parte riproponiamo lo spettacolo "Pagine di diario di gente comune", in cui, cercheremo di trasmettere al pubblico, il fenomeno mafioso, in tutta la sua drammatica criminalità, attraverso le parole: della gente di strada, delle vittime, dei carnefici. In Cosa Nostra non c'è niente di "onorevole", ma solo brutale e sanguinosa crudeltà. Ricordiamo così alcune vittime, da Falcone e Borsellino a Giuditta Milella, da Peppino Impastato a Barbara Rizzo e i sui figli, risalendo indientro nel tempo fino a Emanuela Sansone, ragazza di 17 anni uccisa il 26 dicembre 1896, per convincere la madre a tacere.

Foto e Video dello spettacolo del 16 settembre 2017 al Castello di Carini.

Foto delle spettacolo del 27 maggio 2018 presso l'Auditorium della RAI di Palermo